Cucinare. Da cuocere a fuoco vivo qualcosa di commestibile per renderlo più appetibile e più digeribile a mescolare i sapori e gli odori, fino a ricreare e rendere perfettibili gli abbinamenti. Ripensando al nostro imprinting e al nostro retroterra culturale. Si perché abbiamo archetipizzato anche il sapore, e quello che mangiamo è storia, geografia, etnologia, filosofia, a volte religione.
Perché faccio queste considerazioni? Perché mi sono tornati sottomano alcuni appunti di un recente convegno, intervento di Massimiliano Alajmo, un vero ricercatore e sperimentatore. Uno che oltre a fare lo chef, riflette, teorizza e poi prova ai fornelli, facendo in questo modo, cultura, appunto. Non si tratta però di pura accademia, perché lo scopo finale è di migliorare le sensazioni del piatto al naso e al palato.
Se non si fosse capito mi riferisco alle “sensazioni lattiche” senza latticini, che Massimiliano sta sperimentando nella sua concettualizzazione dei tre elementi fondamentali nella sua cucina: leggerezza, profondità, fluidità. La base di partenza è scientifica: i latticini, a livello molecolare, incapsulano i profumi, impedendo loro di manifestarsi in tutta la profondità che potrebbero esprimere. Se quindi danno una sensazione iniziale molto forte, la persistenza non è però lunga come dovrebbe essere. La considerazione nasce da una semplice prova: la diversa resa dell’essenza di anice stellato nel burro e nell’olio d’oliva. Il concept di Massimiliano è quindi trovare delle soluzioni alternative che sintetizzino la potenza iniziale del latticino con la lunghezza aromatica creata dall’olio.
Due le alternative analizzate. L’olio estratto dalla frutta secca o le proteine naturali, senza grasso.
Dalla prima nascono le cagliate vegetali (ricotta di mandorle, di pistacchio, di sesamo tostato e un cacio di nocciole), ottenute aggiungendo acqua e cloruro di magnesio (caglio) alla materia prima base. E il burro d’olio, di extravergine con il burro di cacao, l’acqua e lecitina
Le proteine vegetali sono lo spunto lattico per un piatto dedicato a Fulvio Pierangelini: latte di ceci ottenuto frullando il legume lasciato a bagno, cotto e poi passato al microonde. Su questa crema si poggiano gamberi rossi, capperi dissalati e purea di ceci classica, arrotolata nel mais croccante soffiato.
Le proteine animali offrono spunti infiniti. Ecco quindi il latte di sogliola passata al minipimer e unita a mandorle e senape. Addirittura il formaggio di merluzzo con le trippe del pesce frullate con acqua e olio, poi sifonate e fatte solidificare.
E a proposito di quest’ultimo, che appare a una prima lettura così unisutato, non vi sembra che il classico baccalà mantecato veneziano dia una sensazione lattica? Solo la ricetta ebraica prevede l’uso effettivo di latte in cottura, mentre la ricetta tipica utilizza solo l’olio a filo (come nella maionese e infatti anche in questo caso le molecole tensioattive delle proteine fanno da legante fra acqua e olio) e mi sembra abbastanza significativo che il metodo classico preveda l’utilizzo della zangola da burro per la mantecatura. La tradizione e secoli di palati allenati a riconoscere le sensazioni di casa confermano, a quanto pare, ciò che la più avanzata sperimentazione teorizza.
Elena
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