Sembrava, per restare in tema gastronomico, il cacio sui maccheroni. Dopo un intervento evocativo e rievocativo della sua terra, Massimo Bottura dell’Osteria Francescana è venuto a sapere di aver vinto il premio di migliore cuoco al mondo, ottenuto dall’Accademia internazionale della cucina, organismo con sede a Parigi, cui afferiscono tutte le accademie di cucina del mondo, inclusa quella italiana, una ventina in tutto.
La motivazione ufficiale: quella del modenese è una sintesi perfetta di “tradizione, scienza e arte”. Bottura succede nel riconoscimento a cuochi del calibro di Bocuse, Blumenthal, Adrià, Guerard.
Grande commozione, dunque, sulle note di “The girl from the north country” di Bob Dylan, poesia vera, che mette a nudo l’anima, secondo lo chef, perchè l’arte, aspirazione e ispirazione deve comunicare. Si parte quindi dal passato, non per uno slancio nostalgico, ma per crescere. Questa la funzione del video, aperto dalle parole della mamma che racconta la fiaba dell’anguilla che risalendo il Po incontra gli ingredienti del piatto di Bottura. E poi minestroni, maiale, lagune e personaggi veri, dai contadini, agli artisti, una recherche nel dna emozionale dello chef.
Sillogici i piatti presentati. Il “civet di lepre”, rimembranza di antichi sapori franco-piemontesi, la Royale e il Civet. Qui però il piatto è il palcoscenico che immortala l’attimo in cui la lepre viene uccisa dal cacciatore. La lepre è frollata e marinata nel foie gras, latte e vaniglia. Il pane ai funghi tostato e gli aghi di pino sono un sottobosco aspro, in cui si respirano tutte le sensazioni della terra: la mineralità del tartufo nero, del gel di funghi, della rapa rossa, la clorofilla per le piante, l’acidità del succo di melograno, la tostatura della schiuma di caffè, e su di esso posa la quenelle di lepre tagliata in brunoise. A parte il civet (o Royale), il sugo legato col sangue dell’animale.
Segue un piatto nato dalla memoria storica di Bottura fatto di erbe e profumi della natura. Una rapa rossa in concentrazione spennellata sul piatto, quenelle di yogurt, gel di porcini secchi usati come “katsuobushi” (specifica lo chef cioè grattati in fiocchi), brunoise di sedano, cardo, cipolla, topinambur, ancora tartufo per la mineralità e una meringa ghiacciata di rapa, polvere di rapa rossa, topinambur, sedano rapa, a sottolineare i sapori . A finire un brodo in estrazione di pelle di patata tostata, completa di terra, a riprodurre un minestrone che viene versato, caldo, davanti al commensale. Dal ripensamento del classico, quasi un piatto cubista dove la dissociazione nulla toglie alle sensazioni, anzi, le acuisce.
Elena
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