Grande bagarre a Identità Golose 2011, molte “lectiones” interessanti. Il tema “il lusso della semplicità. I segni e i gesti” è suonata a molti come una provocazione o se preferite uno spunto di riflessione. Tant’è: tutti hanno rivisitato la loro esperienza alla luce di quello che da suggerimento sembra essere diventato improvvisamente un diktat e che, non a caso, da anni viene percorso da Marchesi, ancora una volta precursore, sempre lui.
Dopo questa full immersion di alta ristorazione voglio fare singole riflessioni sui protagonisti ed inizio dal primo ad uscire sul palco, dal più giovane dell’Olimpo, da Massimiliano Alajmo.
Sempre riflessivo, sempre più maturo della sua età anagrafica come molti fenomeni sono, Alajmo presenta un unico piatto, un risotto al nero con ragout di calamaro, dove per sua ammissione mette l’accento sulla venezianità del piatto (brodo vegetale, pochissimo formaggio): che c’entri qualcosa la sua prossima gestione del Quadri? Che cerchi di occhieggiare alla clientela veneziana? Sarebbe più che lecito, beninteso. Intanto, dal palco ad occhieggiare è l’occhio del calamaro che ironicamente apparirà nel piatto e viene cotto a bassa temperatura sottovuoto. Intanto i sapori sono puliti, un tratto esotico della salsa al nero, cotta con soia e zucchero di canna e nell’anice stellato che appare intero nella cottura del risotto e come tocco finale in essenza nebulizzata (stimola la salivazione). Un tratto “tradizionale”: mantecatura con olio, un accenno di parmigiano e qualche goccia di limone per la nota acida a contrastare la ricchezza della salsa e la croccantezza del calamaro a crudo in quenelle sul risotto. Un piatto che essenzialmente sembra seguire questa esigenza di semplicità, un connubio che rispecchia i desideri dello chef stesso, che prende una materia e, come lui stesso sostiene, segue la materia, adeguandosi alla sua forma, come se fosse liquida, acqua che prende la forma che vuole (che sia una citazione di Camilleri? Mah!).
Grande impegno da parte degli Alajmo, che appositamente per il convegno hanno realizzato un video (forse uno dei pochi che non si autocompiacesse con piatti perfetti da home economist) intitolato “EachCook – il delitto imperfetto”, dichiarata citazione di Hitchcock. E’ una parabola che chiede di sfrondare il superfluo, il gossip, i barocchismi intorno ai cuochi: ipocriti sofismi che portano come unica conseguenza la perdita di naturalezza, semplicità, la storia che un piatto dovrebbe raccontare di chi vi ha lavorato. Sul finire una dichiarazione che da speranza: del superfluo non resterà nulla, l’essenza della cucina, come un fil rouge attraverso le varie epoche, non muore. Sempre un po’ guru, Massimiliano, malgré lui.
Molto materica invece l’ultima creazione della pasticceria Alajmo: la focaccia all’olio con zafferano e polvere di liquirizia, gentilmente offerta alla platea, così fragrante e delicatamente mediterranea (citazione, questa volta sicuramente voluta, di un famoso risotto) da non far rimpiangere l’assenza di burro.
Elena
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