A volte da un problema nasce un bene. E così che in una serata nebbiosa di gennaio, con tutti i miei ristoranti di riferimento chiusi per ferie o con lo chef in vacanza, dovevo andare a cena con amici che, venendo da Alba (la mia beneamata zona d’origine!!!), sono abituati a mangiare molto bene, quindi non si può rischiare di farli mangiare male. Un vero dilemma. Preso il coraggio a quattro mani (due non bastano per provare un nuovo ristorante a Venezia), ho optato per “A Beccafico”, siciliano di Campo Santo Stefano, rallegrata dal fatto che comunque fosse andata, in ogni caso si trattava di una cucina regionale di grandissima tradizione e ampiezza.
Tempo da lupi, arrivo ore 21,30 ma nessuno fa una piega sulla tarda ora in una città dove si cena come le galline (bonus). Locale un po’ affollato, ma meglio uno strapieno di uno tristemente vuoto (d’estate è meglio grazie all’ottimo dehors).
Il cameriere era piuttosto sciroccato, ma simpaticamente, in modo surreale, alla Jonesco. Anche se pareva impossibile completare “la comanda” solo due piatti sono stati invertiti nell’ordine di uscita e l’antipastino in attesa dei primi, caldeggiato fino all’insistenza, si è rivelato una delle cose più buone in assoluto. Per i vini, scelta non ampia, ma con giusto accento al sud e prezzi corretti, un sempre soddisfacente Planeta.
Dunque, antipastino: frittella di neonati (se preferite gianchetti), croccante, bella piena di pesce dentro, non unta. Insomma ottima. Panella (polentina di farina di ceci fritta) come da tradizione di cibo di strada siculo. Brica (cannolo) sottile di pasta fillo con ricotta e capperi di Salina, buonissimo.
Quindi un classico: vermicelli cu li sardi e il finocchietto selvatico. Forse un po’ scarichi di sapori rispetto alla ricetta tradizionale, ma probabilmente adattati a palati non abituati ai contrasti dolce/salato.
A seguire un altro classico: sarde a Beccafico (i beccafichi sono uccellini ghiotti di fichi, che d’estate, mangiando tanti fichi, diventano grassottelli e molto buoni da mangiare, poveretti!). Fatte molto bene, morbide, profumate all’arancia, ben presentate. Ho voluto accompagnarle con un’altra ghiottoneria (per me) siciliana: l’arancino di riso. Me ne sono stati serviti due piccolissimi a pallina. Non mi sono piaciuti gran che, ma forse le dimensioni non hanno aiutato in una preparazione che ha una sua forma classica e un certo rapporto fra riso e sugo.
Bellissima l’insalata di astice e ricco e perfetto il fritto misto serviti ad altri commensali.
Abbiamo terminato con una buona cassata e una torta di ricotta e fichi delicatissima, accompagnati da vino passito, limoncello e grappa, gentilmente offerti.
Nell’insieme una serata piacevolissima, un servizio cortese, un rapporto qualità/prezzo corretto. E, soprattutto, la mia voglia tornare ad assaggiare altre proposte dal menù, ricco e orgogliosamente siciliano, sia di carne sia di pesce, con alcune chicche nella ricerca dei prodotti come il prosciutto di maiale dei Monti Nebrodi e il sale di Mothia (dalle saline di San Pantaleo, l’antica isola di Mothia, fra Trapani e Marsala).
Elena
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