Udite, udite, perché è l’avvenimento gastronomico quantomeno del lustro, in una città, Venezia, dove gastronomicamente nasce veramente pochino e l’ultimo fatto notevole risale a quando Corrado Fasolato approdò in laguna (quanto tempo fa?). Arriva il più giovane dell’Olimpo, Massimiliano Alajmo. Oddio, magari non proprio lui, ma comunque si spera che l’intera operazione goda della sua supervisione
Il fenomeno Massimiliano, infatti, non è nato come un fungo, dal nulla, ma è la cuspide di un mix fra tradizione famigliare vecchia di quattro generazioni ed attività legate a ristorazione, ospitalità, gastronomia che si sono estese a macchia d’olio.
A Rubano, infatti, non c’è solo un ristorante, ma una vera e propria cittadella, una sorta di accademia per le papille gustative contenuta in un unico isolato: fronte strada la pasticceria ottima per i dolci supervisionati dalla mamma Rita o per un pranzo veloce a mezzogiorno al “Calandrino”, zona wine bar e brasserie con alcuni piatti caldi firmati da Massimiliano, selezioni di formaggi o insalate. In.gredienti, la gastronomia con i migliori prodotti dall’italia e dal mondo e l’hotel “Il Maccaroni”, dove eventualmente smaltire una cena sontuosa.
Massimiliano è uno chef istintivo, sorprendentemente colto per la sua età (classe 1974), fondamentalmente diverso dall’aura da genio precoce che gli è cresciuta intorno. Geniale lo è, ma in quanto originale sia nelle premesse, sia nei risultati. Le origini sue, la tradizione sua, stato di conoscenze e di coscienza, come lui stesso li definisce, sono la base da cui parte nell’elaborazione di un piatto (non creazione!, quella del cuoco è, secondo lo stesso Max, attività di valorizzazione), risultato di assemblaggi, non solo di prodotti, ma anche di sensazioni, di ricordi olfattivi e gustativi, di stati d’animo: “la cucina è spirituale” dice, “E’ tradizione, secondo l’accezione latina tradere, è una consegna che si riceve, si deve far vivere interiormente e si deve trasmettere al commensale”. Ognuno ha il suo bagaglio di tradizione, e Massimiliano Alajmo di certo ne ha uno grosso e mirabilmente unito ad una conoscenza tecnica così profonda ed interiorizzata da divenire linguaggio quotidiano. Linguaggio che lui stesso definisce “inutilmente indispensabile”, condizione necessaria ma non sufficiente per esprimersi. E Massimiliano sicuramente si esprime con una tale forza che alcuni suoi piatti sono diventati dei classici d’autore come i famosi involtini di scampi fritti su salsa di lattuga e il cappuccino di seppie al nero.
Un tale universo gastronomico dovrà oggi essere trasferito altrove, in un’alleanza insolita e speriamo foriera di novità ghiotte e astronomicamente colte per la città. Alajmo e Ligabue si alleano per rilanciare il Caffè Quadri, uno dei più antichi del mondo, aperto nel 1775 in piazza san Marco che ha ospitato nomi illustrissimi: da Stendhal a Lord Byron, da Alexandre Dumas a Honorè de Balzac, Richard Wagner .La famiglia Alajmo ha stretto un accordo con il gruppo veneziano attivo nel catering dal 1919, in base al quale sarà Alajmo a prendere in gestione lo storico Caffè – Ristorante.
Raffaele e Massimiliano Alajmo e Inti Ligabue che rappresenta la terza generazione della società veneziana, uniscono le energie. Venezianità rispettata: l’insegna resta la stessa, ma con un piccolo “lifting” della facciata, un rinnovo della cucina e… qualche precauzione in più per l’acqua alta (che a San Marco è moooolto alta).
Speriamo in bene, le premesse sembrano esserci. Ligabue vanta un’approfondita conoscenza del mercato veneziano e il know how di gestione del Quadri. Alajmo….. beh, chi ha cenato alle Calandre sa bene che cosa può portare a Venezia!
Elena
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