Nascere in una terra che offre produzioni rigogliose e varie, ricordarsi di sapori e profumi legati all’infanzia, appartenere ad una cultura ampia, così mitteleuropea da abbracciare nord e sud, da rendere famigliare sia l’oca sia la ricciola, sia il ginepro, sia il basilico, sono fattori che sicuramente aiutano a rendere la cucina di Herbert Hintner, altoatesino della Val di Casies, buona, ma non basta.
C’è anche l’entusiasmo di questo chef estroverso e volitivo dalle sue montagne pusteresi alle piacevoli colline ricoperte di viti e di meli che costeggiano la “strada del vino” da Salorno fino a Nalles. C’è voluta anche convinzione e lungimiranza per riconvertire “Zur Rose”, la trattoria dei suoceri di San Michele Appiano (Bz), che sfornava pasti semplici a basso prezzo, nell’attuale ristorante, accogliente come lo sono molti locali in Alto Adige ma con in più un servizio, un menù e una carta dei vini tutti di grande qualità.
Dal 1985, anno in cui Herbert prese il comando in cucina al 1995, anno della stella Michelin, infatti, la strada non è stata proprio in discesa.
E se Herbert ha evidentemente convinto tutti, lo si deve al suo intelligente ripensamento della propria tipicità: le ricette e i prodotti dell’Alto Adige che pur sono tanti e vari, escono dalle sue mani rinnovati da interpretazioni che vanno oltre i confini regionali per abbracciare una mediterraneità sentita nel profondo. Ecco dunque che la testina di vitello, uno dei classici delle feste della zona, è in una versione fritta in crosta con le erbe aromatiche, oppure con vinaigrette con pomodoro e basilico, meridionali ma perfetti per compensare con l’acidità, il grasso naturale della carne.
C’è anche la ricerca dei prodotti introvabili, non perché sono esotici ma perché un pomodoro così buono difficilmente riuscirete a mangiarlo oggigiorno (e forse neanche sapete che in Alto Adige se ne coltivano ben 25 varietà diverse), o perché la ricotta dei piccoli Schlutzkrapfen che galleggiano in una semplice zuppetta di sapidi spinaci ha un gusto di latte profumato tale da renderla protagonista del piatto.
Quindi c’è una vera e propria collaborazione con i produttori, siano essi macellai, formaggiai o contadini, che appaiono come co-protagonisti nelle belle foto del suo libro di cucina, addirittura intervenendo nella selezione delle qualità. In alcuni casi, invece, la natura non ha bisogno di essere aiutata, ed Herbert volentieri inserisce in menù erbe spontanee di campo, anche quando, come ad esempio nel caso dell’aglio orsino dureranno per poche settimane.
Herbert è avversario acerrimo della sorpresa fine a se stessa nel piatto, dubbioso sulle alchimie oggi sulla bocca di tutti come la cucina molecolare. Ha invece recuperato dalla tradizione antiche pratiche, nate a volte dall’indigenza, come l’uso di una farina di pere essiccate, molto comune in Alto Adige al tempo in cui la povertà impediva alla gente di consumare lo zucchero e che dunque veniva usata come succedaneo. Riutilizzata nella cucina di Zur Rose, questa farina viene usata per fare la pasta fresca, le tagliatelle o quella ripiena, ad esempio di patata come da tradizione e condita con il “graukaese” l’inconsueto formaggio grigio di latte inacidito, gommoso fuori e granuloso dentro, dal sapore intenso.
Nessuno stravolgimento concettuale quindi, neanche i palati più semplici, ma grande appagamento pure quelli più “scafati” (o raffinati).
Elena
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