Due passi (o di più) aldilà degli stereotipi, Ponterialto-Sanmarcopiccioni-Schiavonisospirifoto, non sono, a Venezia, cosa da poco. Intanto perché occorre essere buoni camminatori, pazienti e curiosi, necessità non così evidente, tenuto conto che esiste ancora chi pretenderebbe di parcheggiare la Porsche davanti all’hotel Bauer.
Poi perché la città dei veneziani, pure questi per fortuna esistono ancora, rifugge le guide turistiche, ma rivela, insieme ad una stanchezza lieve e al senso di smarrimento di trovarsi nel ramo senza uscita di una calle o su di un ponte che conduce ad un portone privato, classici cul de sac locali, profumi ed odori, sapori non sempre noti e, a sprazzi, lo spettacolo di un mondo sospeso, attraversato ma non penetrato dai secoli, botteghe che offrono l’immagine di mestieri che si ripetono più o meno come ai tempi della Serenissima.
SULLA RIVA DESTRA
E’ però impossibile escludere Rialto tacciando la zona come turistica: passando il ponte, ci si trova nell’insula di Rivo Alto, cuore economico della Serenissima, dove fra stoffe di fiandra, balsami orientali, spezie tanto preziose da essere moneta di scambio, i mercanti di tutto il mondo conosciuto trovavano la summa del loro mestiere.
Tutte le merci erano trattate: nelle botteghe degli orefici sotto i portici le pietre preziose, ornamento dotato di poteri taumaturgici e più in là polli vivi, pesce, frutta e verdure dalle isole dell’estuario. Lo spettacolo è abbagliante ancora oggi ed è un raro caso in cui i veneziani convivono con i numerosi turisti. Tutti i giorni, esclusi domenica e lunedì, si trovano i prodotti di stagione: in autunno i funghi del Cansiglio, finferli, finferle e porcini, i marroni di Combai da accompagnare con un bicchiere di “Torbolino”, vino bianco dolce torbido, un po’ mosso, quasi ancora mosto. Col freddo cardi gobbi, zucche e pere di San Martino, canocce (cicale di mare) vive, e moéche (granchio carcinus mediterraneus in periodo di muta, quindi morbido), la “castradina schiavona” (coscia di montone affumicata e speziata) per la Madonna della Salute e la trippa “rissa” da mangiare bollita con il sale grosso.
In primavera, i canarini le castraùre e i botoli di Sant’Erasmo, prima seconda e terza potatura dei carciofi, che danno tenerissimi boccioli, i bruscandoli,germogli del luppolo , che si raccolgono sulle rive dei fossi e i carletti ottimi in risotto, i piselli per i risi e bisi, “l’anara” da fare ripiena nella sera del “Redentor”. Aggirandosi per i banchi della frutta, si può vedere, di fronte alla chiesa di San Giacometto, la più antica di Venezia (V secolo), una bassa colonna di porfido del 1291: la scaletta che porta alla sommità serviva agli araldi per leggere condanne ed è sostenuta da una statua ricurva, confidenzialmente il “Gobbo”, traguardo per quei ladri che nel medioevo dovevano a farsi nudi e di corsa da San Marco a Rialto fra due ali di folla che li frustava, e nel 1500 supporto per poesie satiriche contro il Clero e lo Stato.
A breve distanza dal mercato del pesce si trova “Mascari”, Ruga del Spezier 381 la drogheria per eccellenza di Venezia, per i locali “il conte delle seme”, dove fra montagne di thè ed infusi, una vetrina di spezie che sembra un inno ai trascorsi commerciali, si trova di tutto, i risi esotici e la cotognata, gli “zaéti” e le “marmalade” inglesi, senza dimenticarsi di una cantina di vini e distillati di tutto rispetto.
Dopo la vista di tante leccornie si può decidere per un bicchiere di vino, la scelta è ampia e qualificata ai “Do Mori”, storico bàcaro con una notevole quantità di cicheti: dal musetto caldo con la senape ai “francobolli” (mezzi tramezzini), un’ottima coppa di toro, polpette e folpetti. Il massimo all’atmosfera si ha di sera sui tavolini all’aperto vista Canal Grande del “Bancogiro”e della “Naranzeria”, che servono piatti leggeri e veloci di pesce nei magazzini del piano terra del Palazzo dei Tribunali, dove c’era il pubblico banco mercantile, appunto il bancogiro e il mercato delle arance, la Naranzeria..
Continua……
Elena
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